Bisogna avere il caos dentro di sè per generare una stella danzante (F. Nietsche)







giovedì 28 novembre 2013

Violenza alle donne: ed ora una concreta azione civile

Dal Fatto quotidiano del 25 aprile 2013
La celebrazione del 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne, mi ricorda il romanzo di Dorian Gray: mentre le manifestazioni e le iniziative si moltiplicano in tutta Italia facendo apparire giovani e attraenti le politiche contro la violenza alle donne, la realtà continua a sfigurarsi come il ritratto in soffitta. E’ vero che abbiamo una maggiore consapevolezza del problema ma, fino ad oggi, il governo ha fatto una brutta legge e tante promesse. Rimangono ancora da realizzare tutte quelle azioni per formare le forze dell’ordine, i tribunali e i servizi sociali, per rendere omogenei i protocolli di intervento, per creare il lavoro di rete tra i soggetti che intervengono in situazioni di violenza, lavorare con gli adolescenti per la prevenzione, eccetera eccetera eccetera.
Le richieste sono sempre sui tavoli istituzionali, e sono in attesa. Attendono come le donne che vivono situazioni di violenza. So bene che il problema non riguarda solo la violenza contro le donne. Vivo in un Paese che aspetta da troppo tempo di essere governato. Perché la situazione dovrebbe essere differente con la violenza contro le donne?
Ho deciso oggi di pubblicare la lettera di una donna che mi scrive da tempo e che incontrai nel 2012, durante una conferenza. Mi raccontò dell’assenza di risposte e dell’ignavia che la circondava. La sua situazione non è cambiata. Penso quindi che le sue parole valgano più di qualunque commento su questo 25 novembre.

Cara Nadia,
E’ facile, semplice, comodo e sbrigativo pensare che dietro al drammatico fenomeno della violenza alle donne ci sia, di volta in volta, un solo uomo. Questo pensiero molto superficiale, mi appare alquanto diffuso e permette alle persone che l’hanno fatto proprio, di avere la coscienza a posto; di sentirsi al di fuori da ogni possibile coinvolgimento emotivo o di relazione col problema.In realtà sono molti i soggetti che concorrono all’ instaurarsi e al perpetrarsi di quella che giustamente viene definita come ‘violenza di genere’.Ma una nuova legge e l’introduzione dell’ adozione di un braccialetto elettronico, non credo possano molto di fronte alla cecità collettiva.Permane il pregiudizio che se una donna viene colpita o presa di mira o, nel peggiore dei casi uccisa, ‘qualcosa avrà fatto’! Un pensiero che nasconde l’ignoranza di chi considera una donna soggetta a un uomo. Pertanto, a che pro difenderla e proteggerla? A che pro scomodare il proprio quieto vivere?Ne sono profondamente convinta, avendolo vissuto in prima persona, che molte donne o uominiche ricoprono un ruolo, o anche solo perché cittadini o cittadine, potrebbero essere più incisivi e concreti di qualsiasi legge, seppur necessaria.La donna chiamata a testimoniare sulle violenze che tu hai subito e  che per omertà non racconta la verità e ha la nefandezza di dire che non l’ha fatto per paura”
L’assessore ai servizi sociali che ti fa gentilmente notare che il ‘suo’ Sportello donna si occupa per lo più di donne residenti nel suo Comune. E tu non sei una di loro.L’ uomo in divisa che ti fa presente che la querela non serve a nulla.L’ amica che parla di te a destra e sinistra ma che non viene mai a trovarti.Il vuoto intorno a te lievita come una torta amara: perché denunciare vuol dire mostrare cose che tutti sanno ma che nessuno ha il coraggio di affrontare con onestà e obiettività.Eppoi c’è il pubblico ministero a cui chiedi: perché le querele che arrivano su diverse scrivanie dei magistrati non vengono unite in unico fascicolo, in modo che ci sia una visione d’insieme dell’ intera vicenda? E lui risponde solo un ‘no’.parenti di chi ti fa violenza sanno tutto, ma per difendere il nome della famiglia dipingono di rosa ciò che è nero.E intanto il tempo passa e tu subisci. E intanto un altro uomo in divisa a cui racconti gli insulti, ti suggerisce di porgere l’altra guancia.Anche l’avvocato non sa più cosa fare: ti dice che la vita non è dentro un tribunale e anche tu lo sai, purtroppo. Il tuo persecutore non si è mai presentato, lui ti aspetta fuori.C’è anche quel partito politico che crede di fare grande cosa nel raccogliere, durante la sua manifestazione per il 25 novembre delle monetine contro il femminicidio.Ti sei recata in Questura e hai guardato quelle sedie riempite all’inverosimile di plichi-cartelle, di storie simili o forse peggiori della tua. Altri e altre che attendono.Hai ricordato, in quel momento, le parole di Piero Calamandrei, quando diceva che le persone e le loro storie sono simili a insetti schiacciati tra mille documenti.Hai chiesto un incontro con il capo della procura, ma ti hanno detto che non si può. Peccato, desideravi che la tua esperienza, i tuoi passi, diventassero motivo di riflessione e magari punto di partenza per nuove strategie contro la violenza alle donne.Non so se questa società che ama definirsi ‘civile’, abbia veramente il desiderio e la volontà di farti sentire e di farti vivere come libera cittadina.Se continui ad andare avanti è grazie alla volontà e al desiderio di pochi: di donne e uomini che sanno e comprendono la misura della tua sofferenza. E’ grazie a loro che continui a sperare.La mia lettera l’ho scritta affinché la Giornata internazionale contro la violenza alle donne non sia una sterile ricorrenza piena di retorica e di parole vuote e scontate.La violenza di genere ha bisogno di una presa di coscienza collettiva che diventi concreta azione civile.Grazie.


martedì 11 giugno 2013

Violenza sui minori: i mostri da temere - Nadia Somma - Il Fatto Quotidiano



Nei giorni scorsi la cronaca ha raccontato di maltrattamenti nei confronti di bambini e di bambine accaduti nelle scuole materne. In quindici giorni abbiamo conosciuto tre storie di abusi che ci hanno turbato profondamente perché le autrici delle violenze erano insegnanti e perché erano donne. La distruttività  frantuma l’illusione che esista solo l’aspetto buono, accogliente e amorevole del femminile. Non c’è nulla che sia percepito come eversivo e destabilizzante come la violenza delle donne perché a loro è affidato e persino imposto, da sempre, il ruolo di protezione e cura di bambini, adulti e anziani. La violenza delle donne è percepita come profondamente “demoniaca” e fa ancora più paura di qualunque altra violenza percepita come più accettabile. La magistratura farà chiarezza sulle cause delle violenze: burn out professionale, frustrazioni accumulate o pulsioni sadiche ma quello che è avvenuto, secondo me, riguarda anche  il tradimento.
Innanzitutto il tradimento della fiducia che i bambini e le bambine nutrivano nei confronti delle maestre da cui si aspettavano protezione, cure e rassicurazioni; il tradimento della fiducia dei genitori che avevano affidato i loro figli all’istituzione scolastica; il tradimento della scuola da parte delle maestre che hanno tradito anche loro stesse.
Dobbiamo fare tesoro dei tradimenti perché ci rivelano sempre realtà scomode, quelle che non vogliamo (quasi mai) affrontare. Sogniamo mondi ordinati che non siano turbati dalla distruttività ma se vogliamo continuare il nostro impegno quotidiano con la  lotta al caos dobbiamo accantonare la paura e tenere viva la  coscienza. In questo caso la realtà che ci è stata rivelata è quella di una violenza avvenuta là dove non vorremmo nemmeno immaginarla: nelle aule colorate e piene di giochi di una scuola materna, nei confronti di bambini indifesi che avevano appena cominciato a camminare. L’errore più grande che potremmo fare è pensare che queste maestre siano mostri e collocare la violenza altrove o proiettarla dove ci spaventa meno: nella devianza e nella mostruosità o in qualcosa che non può far parte della nostra quotidianità. Riconoscere la violenza è ancora più difficile se chi la commette ha un ruolo istituzionale o di potere. Quanto gioca la disparità tra un/una  maltrattante e la vittima se quest’ultima è in una situazione di soggezione o di “inferiorità”?
I bambini sono stati considerati per secoli dei minus habens, esseri  privi di soggettività. Era una regola usare nei loro confronti metodi di correzione anche violenti o umilianti. Oggi gli abusi sui minori sono reati, chiediamo il rispetto dei bambini ma siamo abituati a ragionare in maniera dualistica: razionalità e irrazionalità, buono o cattivo, luce o ombra. Quando incontriamo la violenza dove non ce l’aspettiamo, negli uffici, nei luoghi istituzionali, nelle famiglie “rispettabili” allora distogliamo lo sguardo, rimuoviamo, neghiamo: per ignavia, per codardia, per evitare la sofferenza, persino per collusione con gli autori di violenze o perché deleghiamo sempre ad altri il ruolo di fare coscienza.
Queste sono storie che si ripetono con i colleghi che non si sono accorti, gli amici che non hanno visto, i familiari o i genitori che non hanno colto subito le ansie e le paure dei loro cari. Non viviamo in mondi ordinati o pacifici ma per rendere meno letale la violenza e limitarne i danni come la sofferenza psicologica o fisica non dovremmo mai abdicare alla coscienza e ignorare quello che sentiamo. I mostri che dobbiamo temere sono quelli che portiamo nelle nostre menti e sono quelli che ci fanno chiudere gli occhi davanti alle vittime di violenza oppure ci rendono ciechi quando gli autori o le autrici delle violenze siamo proprio noi.

sabato 24 novembre 2012

25 novembre: cambiare la cultura, fermare la violenza - Nadia Somma e Mario De Maglie - Il Fatto Quotidiano

Dal Fatto Quotidiano del 24 novembre 2012

Una donna fugge di casa scendendo le scale, scappa dalla violenza mentre  i pensieri accompagnano il suo cammino fino ad una spiaggia dove ritrova la propria forza.  Sono le sequenze dello spot Potenziare i centri, Rafforzare le donne realizzato da D.i.Re l’associazione  nazionale  dei centri antiviolenza, per sensibilizzare sul problema della vittimizzazione  di genere e promuovere i centri antiviolenza che da trent’anni in Italia affiancano le donne nei lunghi ma possibili percorsi di allontanamento da partner violenti.  

Spot-D.I.Re-VB-01 from Luca Tommasini on Vimeo.
L’obiettivo era quello di raccontare le donne così come le incontriamo nei centri antiviolenza: spaventate, angosciate da una scelta che le esporrà a minacce e violenze di uomini che non si rassegnano; timorose per l’incertezza del futuro perché non hanno un lavoro, risorse economiche o una rete familiare che le sostenga, ma anche forti, determinate e piene di speranza.
Tempo fa mi hanno chiesto perché continuo ad occuparmi da vent’anni, di donne che subiscono violenza  ed ho risposto che me ne occupo perché nella relazione di aiuto che instauro, ricevo qualcosa, sempre. Ricevo la loro fiducia, e resto sempre colpita dalla generosità con la quale mi mettono a conoscenza della loro vita, o meglio della narrazione sulla loro vita, perché quella narrazione cambia quando poi si separano, trovano un lavoro, una casa. Quando  ricominciano è perché riescono a guardare sé stesse con occhi diversi. 
Ricevo qualcosa, sempre, perché  vedo tutto il coraggio di cui sono capaci quando decidono di non rinunciare più alle loro scelte.  E lo fanno nonostante tutte le difficoltà  perché  l’uscita da una situazione di maltrattamento è spesso una corsa ad ostacoli.  
Lasciare la casa, chiedere ospitalità in strutture, e viverci per diversi mesi ma anche affrontare le procedure legali, cercare un lavoro, trovare un’altra casa, reggere il ruolo genitoriale in situazioni complesse, attendere sentenze, fare denunce, entrare nelle questure e poi nei tribunali. Vivere sotto la minaccia. In un Paese dove le risposte per  le donne vittime di violenza sono ancora inadeguate è davvero dura!
C’è ancora molto da fare in termini di prevenzione e interventi a sostegno delle donne e di responsabilizzazione degli autori delle violenze. La nostra cultura e le aspettative rivolte alle donne, al loro ruolo di cura familiare, di subalternità  nella relazione con gli uomini e in relazione alla società,  frenano il cambiamento.
Un cambiamento a cui non ci si può sottrarre ed è per ricordare questo che D.i.Re il 21 ottobre scorso, dopo la morte di Carmela Petrucci, 105^ vittima di femminicidio ha pubblicato l’appello Mai più violenza sulle donne  raccogliendo  più di ventimila firme che dopo il 25 novembre saranno consegnate alla ministra Elsa Fornero.  Anche la Convenzione No More  promossa da D.i.Re, Udi, Piattaforma Cedaw, Giulia, e dalla Casa Internazionale delle Donne chiede alla politica l’impegno per  un cambiamento radicale attraverso azioni efficaci per prevenire, contrastare la violenza sulle donne, e colmare quella disparità tra uomini e donne denunciata anche nel rapporto sul global gap gender  pubblicato dal World Economic Forum, che nel 2012 ha fatto scivolare la condizione delle donne italiane all’80° posto nel mondo.

martedì 23 ottobre 2012

La violenza maschile sulle donne: un problema anche culturale



Cos’è il femminile? – Scrive Linda Scherse Leonard ( “La donna ferita”; ed.Astrolabio) – Secondo la mia esperienza – continua la Leonard – questa è una domanda che proprio adesso le donne si stanno ponendo. Stanno cercando, parlando l’una con l’altra, sforzandosi di dare un’articolazione alle loro esperienze.
Molte donne sentono e vivono il femminile ma non hanno le parole per esprimerlo, perché il nostro linguaggio ed i nostri concetti sono stati basati su modelli maschili”. Per Clarissa Pinkola Estés è possibile entrare in contatto con il femminile recuperando la dimensione della donna selvaggia, o de la mujer grande, la Luz del  Abyss, la Loba, la Huersera, è un logos o conoscenza dell’anima, è Colei che Sa.

Entrare in contatto con il femminile è una risorsa preziosa per tutte le donne.

La psiche femminile ha subito una sorta di "deportazione" millenni fa. La cultura patriarcale l'ha confinata in un territorio dove ha perduto il proprio linguaggio originario e il contatto profondo con il proprio sentire autentico che non ha più potuto essere manifestato o espresso per convenzioni sociali, leggi  repressive e sanzioni anche  feroci. 

Le donne hanno sviluppato per adattamento, una attitudine alla negazione di sè stesse che le espone  al rischio di incontrare e vivere relazioni sentimentali e affettive che le inaridiscono quando addirittura non minano o violano  la loro integrità psicologica o fisica.

La mia esperienza di lavoro con le donne vittime della violenza maschile è cominciato nel 1991 , nei centri antiviolenza.  In base ai dati statistici dei centri che si occupano di sostegno ed aiuto alle donne vittime di violenza: il 78% delle violenze subite dalle donne adulte avviene in ambito familiare ad opera di un familiare ed è trasversale a tutte le classi sociali e le culture.
Alla base della violenza oltre a problematiche psicologiche degli autori della violenza, ci sono altri elementi come la disparità di potere che ancora oggi esiste tra  uomini e donne, e la svalorizzazione delle donne.

Il compito delle operatrici che lavorano nei centri antiviolenza, è quello di sostenere le donne durante un percorso di allontanamento da un partner maltrattante e di interruzione di relazioni violente. Tale allontanamento può avvenire con la  decisione della donna di separarsi dal partner  o nei casi peggiori, se esiste un forte rischio per l’incolumità della donna,  con l’ospitalità per sé o i propri figli/e in strutture protette chiamate “case rifugio”. Il rischio di un aumento dell’intensità e della gravità delle violenze aumenta in maniera esponenziale quando una donna vittima di violenza decide di lasciare il partner.

Le difficoltà di interrompere relazioni violente sono legate quindi, non solo a dinamiche interiori delle donne, ma anche ad un reale e concreto pericolo di vita delle donne, ancora non sufficientemente protette dalla società e dalle istituzioni. Credo che il mito di Persefone possa far riflettere: il rapimento della fanciulla da parte di Ade è reso possibile dalla condiscendenza di Zeus (padre di Persefone) che né si oppone, né interviene alla liberazione della figlia nonostante sia invocato in aiuto. Zeus interverrà ma solo dopo che Demetra avrà minacciato di inaridire la terra.

 Quante volte la richiesta di aiuto delle donne che subiscono violenza resta inascoltata?
Nel mondo occidentale la violenza alle donne è stata addirittura codificata: basti pensare al “diritto di correzione” che il marito aveva sulla moglie, e quindi alla facoltà di picchiare la moglie per “educarla”; o al delitto d’onore che prevedeva una condanna a pochi anni di carcere per l’uomo che assassinava una donna della famiglia per averne infangato l’onore: questa legge è  stata abolito nel 1981. Ancora oggi ci sono Paesi dove la violenza alle donne è  addirittura codificata e legittimata, in altri la violenza alle donne è estremamente tollerata.

Nei Paesi occidentali e quindi nella nostra cultura e società, la violenza alle donne è un reato ma  troppo spesso è  ancora giustificata, ignorata, non vista, e le grida di invocazione di aiuto di molte donne vittime di violenza restano inascoltate; ancora oggi mancano leggi efficaci che controllino e blocchino le violenze degli autori del maltrattamento. In particolare ci sono lacune nel lavoro di rete tra forze dell'ordine, servizi sociali, e luoghi di sostegno e assolto alle vittime. La Convenzione del Consiglio d'Europa firmata alla fine dello scorso settembre  dall'Italia, contiene direttive e protocolli che se adottati   potrebbero aiutare con efficacia le vittime. Si auspica una ratifica della Convenzione in tempi brevi per cominciare a superare il problema della violenza sulle donne. . Ma questo traguardo, pur in un momento di forte svelamento  del problema della violenza alle donne, è ancora lontano  dall’essere raggiunto. Solamente la Spagna, prima in Europa (e forse nel mondo) ha varato leggi contro la violenza di genere.

Quali siano le origini del comportamento violento dei maltrattanti? In Italia sono sorti recentemente i Cam (Centro ascolto uomini maltrattanti)  che si occupano di uomini che agiscono violenze o maltrattamenti.

Alla base ci possono essere esperienze dolorose e traumatiche nell’infanzia, ma anche negli uomini agiscono anche altre forze e cause radicate nella costruzione della propria identità di genere.

Nel film Il collezionista (Kiss the girls titolo originale – 1997), Morgan Freeman interpreta un criminologo che traccia i profili psicologici dei serial killer e si trova a dare la caccia al collezionista, un assassino seriale che rapisce, violenta e poi uccide donne di grande talento artistico o affermate professionalmente (di nuovo un predatore!); nella scena finale il criminologo e il serial killer si affrontano. Il serial killer rivela : “Vuoi la verità? Guardi una donna come Kate e pensi, devo averla, devo farla cedere, è l’aspetto più animalesco di te, scava dentro di te e lo incontrerai, è orrendo” “Talvolta l’ho incontrato” risponde il criminologo.

 Una donna può scegliere (e sarebbe opportuno lo faccia) di elaborare il trauma della violenza subìta con  una psicoterapia, e di rivolgersi ad un centro antiviolenza  per interrompere  una  relazione violenta oppure può intraprendenre  un percorso di counseling.

 Non è un percorso facile, né immediato e l’esperienza presso il centro costituisce solo il primo, piccolo passo. Ricordo ancora a distanza di anni l’esempio che una donna fece durante un colloquio per spiegarmi come si sentiva in quel momento della sua vita:
Mi sento come  una nave che ha fatto naufragio schiantandosi contro degli scogli, dopo aver perso la rotta, ed essersi imbattuta in un tifone. Una nave con un carico prezioso, un tesoro, che è colato a picco in fondo al mare. Un tesoro che posso recuperare, devo solo imparare a respirare.

giovedì 18 ottobre 2012

Femicidi: l'inchiesta di Riccardo Iacona


Il viaggio comincia in Sicilia alla ricerca di una spiegazione sulle uccisioni delle donne in Italia per mano di uomini, ed è raccontato nelle pagine di Se questi sono gli uomini di Riccardo Iacona (edito da Chiarelettere), uscito nelle librerie all’inizio del mese e presentato il 17 ottobre scorso alla Casa Internazionale delle Donne a Roma.
Alla presentazione del libro erano presenti molte donne dei centri antiviolenza aderenti a D.i.Re, giornaliste, studentesse.
La uccisione delle donne da parte di ex o compagni, mariti sconosciuti, si definisce femicidio  una parola per dare un nome alla eliminazione fisica di una donna che non rispetta un codice di comportamento impostole dalla società, dalla cultura, dalle leggi o dalle religioni in violazione della sua libertà e autodeterminazione.
Il femicidio potrebbe anche essere visto come la cancellazione del desiderio femminile e avviene quasi sempre con modalità particolarmente cruente, in un delirio di overkilling teso ad andare oltre l’uccisione del corpo come per annientare l’irriducibilità delle donne. Se non riescono le leggi, la morale, la religione a tenerle vincolate alla rappresentazione che si vuole avere di loro, allora ci riuscirà la morte che le fisserà per sempre nel ruolo di vittima. O mia o di nessuno! sono spesso le parole pronunciate dagli assassini che rivelano una dichiarazione di possesso e la negazione della soggettività della donna, che non può e non deve dire no!
Vanessa, Sandra e le altre, le pagine scorrono sulle ultime ore e giorni di vita di donne giovani o mature, appena adolescenti o con figli, che non vivono più solo per aver detto basta alla violenza, e per aver deciso di chiudere una relazione.
Riccardo Iacona descrive delitti avvenuti alla luce del sole, nei luoghi di lavoro delle vittime, sulle pubbliche piazze perché questi gesti estremi sono compiuti da uomini che vogliono consegnare alla collettività dei messaggi, avvertimenti in stile mafioso e punizioni per lo “sgarro” di essere stati lasciati.
Sono trascorsi trent’anni dall’abolizione del cosiddetto delitto d’onore eppure dall’inizio dell’anno sono già oltre cento le donne vittime di femicidio, una strage che non deve e non può avvenire nel silenzio o nell’indifferenza dell’opinione pubblica, possiamo cambiare quelli che pensiamo essere destini tragici di alcune donne, cambiando la cultura.





giovedì 10 maggio 2012

Consulenze on line



E' possibile richiedere  uno o più colloqui (max 3) on line su appuntamento  tramite chat, telefono o skipe della durata di 45 minuti.


I colloqui telefonici o in chat non costituiscono un percorso di counseling ma hanno la funzione di fornire informazioni o  un primo aiuto  per chi attraversa  momenti di difficoltà che si possono incontrare: nelle relazioni sentimentali, nel lavoro, o perchè si stanno affrontando cambiamenti o si ha paura di compiere delle scelte.

Un percorso di counseling specifico è rivolto alle donne che subiscono maltrattamenti in famiglia o stalking.

Se desideri  ricevere informazioni sulle modalità di contatto puoi  scrivere a : nadiasomma@alice.it

 

venerdì 5 agosto 2011

MALAMORE: donne che amano troppo?

 Periodicamente conduco gruppi  rivolti a donne che si trovano a ripetere esperienze sentimentali negative o che le inaridiscono, o ancora donne che vivono in maniera devastante la separazione e il distacco affettivo. Il gruppo esperienziale è un percorso di counseling e non di psicoterapia. Il gruppo è   aperto ad un numero di otto o dodici partecipanti al massimo.  Per informazioni potete scrivere a nadiasomma@alice.it o contattarmi al cellulare 393.076.45.24.